La nostra economia sta affrontando una fase di grave difficoltà. Il PIL regionale chiuderà il 2012 in calo del 2%, per poi portarsi poco sotto lo zero nel 2013 e tornare a crescere solo nel 2014. Nei prossimi mesi, la disoccupazione raggiungerà con ogni probabilità livelli a due cifre, considerando che già a giugno il tasso si attestava al 9,9%. La tendenza al rialzo, infatti, non sembra destinata ad interrompersi. Un quadro fortemente incerto, in cui l’unica nota incoraggiante è data dalle esportazioni che, seppur in rallentamento dall’inizio dell’anno, a settembre segnano un +1,6%. In questo scenario, il credit crunch assume un ruolo decisivo in quanto, insieme alla contrazione della domanda interna, è causa e effetto della stagnazione del livello degli investimenti e della riduzione dell’attività produttiva. Nel primo semestre dell’anno i prestiti alle imprese sono diminuiti dell’1,1% e il dato scende fino al -2,3% se si guarda solo alle piccole. Al tempo stesso, la domanda di credito si riduce spinta in basso del calo della spesa per investimenti e dall’aumento dei tassi d’interesse, dei costi accessori e delle garanzie richieste. Vi è poi un altro canale, oggi sempre più utilizzato dalle banche, che alimenta il credit crunch: le revoche degli affidamenti. Troppe aziende, anche le più sane, si vedono revocare i finanziamenti senza una motivazione che vada oltre le difficoltà congiunturali.
Dall’inizio dell’anno in Italia oltre 5 mila imprese sane, con un rating secondo il Cerved positivo, hanno chiuso volontariamente, spinte da aspettative pessimistiche sul futuro. Sappiamo che il sistema bancario italiano sta scontando la complessiva mancanza di liquidità del sistema finanziario ed è sottoposto a vincoli stringenti. In particolare le PMI che, come indicano i dati Cerved, dal 2007 hanno ridotto il rapporto debito/equity di 26 punti percentuali grazie ad un incremento del patrimonio del 39%. In aggiunta, gli effetti della spirale creditizia rischiano di essere amplificati dall’imminente applicazione di Basilea 3. Infine, un fattore che incide sull’intensità della richiesta di credito è il ritardo dei pagamenti della Pubblica Amministrazione: oltre 10 miliardi di euro di debiti che mettono in difficoltà 14.700 imprese della nostra regione. Si devono trovare le risorse per smontare, negli anni a venire, il debito cumulato.
Un problema che si potrà risolvere solo contabilizzando nel bilancio dello Stato il pregresso. E poi concretizzando tutti quegli interventi che attraverso le cartolarizzazioni o le cessioni dei crediti permettano alle imprese di incassare i pagamenti in tempi ragionevoli.
È necessario che si agisca il prima possibile, perché ogni giorno di ritardo mette a rischio la sopravvivenza di un numero sempre maggiore di imprese. I fallimenti nel Lazio infatti continuano a crescere. Nei primi sei mesi dell’anno hanno chiuso 715 imprese e un terzo di queste a causa dei mancati pagamenti della PA. Il motore per avviare la ripresa risiede nella capacità di tutti gli attori, Associazioni, Istituzioni, banche e imprese di agire subito, insieme e in modo responsabile.
Unindustria contribuirà, attraverso attività di proposta e monitoraggio, alla definizione delle linee di intervento per lo sviluppo economico del territorio, con riferimento ai fondi strutturali e alle politiche di accesso al credito, alla patrimonializzazione delle PMI e ai pagamenti della Pubblica Amministrazione. Dovrà porsi come punto di riferimento per le aziende nell’individuazione e nell’accesso agli strumenti di sostegno alla crescita. Al tempo stesso, si impegnerà a creare le condizioni per migliorare la sostenibilità finanziaria dei programmi di sviluppo delle aziende e si farà promotrice del nuovo rapporto banca-impresa, incentivando l’adozione di modelli comportamentali basati su criteri, come già dicevo, di correttezza e trasparenza.
In altri termini, immagino l’Associazione come “consulente globale” dell’impresa in tema di credito e finanza.
Ed ho in mente alcune proposte.
Unindustria da tempo segnala alla Regione le difficoltà strutturali di cui soffre, in generale, la filiera della garanzia.
Auspichiamo che BIL acquisisca una chiara, nuova e definita missione, mantenendo il ruolo di player principale nel sistema della garanzia, sia diretta sia massiva, del Lazio. Il nuovo ruolo di BIL consentirebbe anche di rafforzare i Confidi regionali che avranno sempre più il fondamentale vantaggio della conoscenza diretta delle imprese e del loro profilo qualitativo.
Oggi, l’architettura frammentata e spesso sottocapitalizzata dei Confidi rende i consorzi più vulnerabili, accelerandone il processo di indebolimento. Il sistema dei Confidi dovrebbe prendere spunto proprio dall’operazione di rafforzamento realizzata da Fidimpresa Lazio, che ha precorso i tempi aggregando tutte le realtà provinciali del Lazio per fonderle in un unico consorzio.
Il passaggio al cosiddetto 107 è sicuramente un’azione che rafforza i Confidi, ma dobbiamo evitare che i vincoli di gestione più stringenti dovuti alla vigilanza della Banca d’Italia non ne snaturi la missione mutualistica.
Per questo, insieme a Fidimpresa Lazio, ci impegniamo a codificare il rapporto Associazione-Confidi, stabilendo ruoli, comportamenti e attività condivise, al fine di sviluppare al massimo le potenzialità dei nostri Confidi a sostegno del territorio.
Inoltre, chiediamo alla Regione di rivedere l’attuale politica di patrimonializzazione e di mettere a disposizione contributi adeguati e in linea con le esperienze delle principali regioni italiane.
I 4 milioni stanziati nel Lazio per il rafforzamento dei Confidi, di cui solo 2 effettivamente erogati, risultano infatti quasi offensivi se confrontati con i 25 della Toscana e gli oltre 100 della Lombardia.
Chiederemo alla prossima giunta regionale di dare un segnale concreto di attenzione verso le imprese con un intervento degno della nostra economia: almeno 50 milioni di euro per il rafforzamento patrimoniale dei Confidi.
In un momento di mancanza di liquidità, si potrebbe e dovrebbe destinare alla patrimonializzazione dei consorzi fidi i fondi europei attualmente sottoutilizzati.
Secondo recenti stime, infatti, l’impiego di risorse POR per il periodo 2006-2013 si ferma al 50%: 350 milioni su 700. Non possiamo più permetterci simili sprechi di risorse. Vi è poi una questione centrale che continua a penalizzare le imprese della regione, ovvero l’operatività del Fondo Centrale di Garanzia che oggi è limitata alla sola controgaranzia.
L’estensione del meccanismo della garanzia diretta consentirebbe a molte piccole e medie imprese virtuose di accedere al Fondo attraverso le banche, senza l’intervento obbligatorio di un garante locale. Davvero rilevante in tema di credito resta il tema del rafforzamento patrimoniale delle imprese. Per questa ragione, Unindustria sta collaborando con Sviluppo Lazio al Bando Patrimonializzazione PMI. Alla prima dotazione di 10 milioni di euro messi a disposizione dalla Regione, se ne aggiungeranno altri 20 nei prossimi mesi. In aggiunta, nel processo di capitalizzazione delle PMI giocano un ruolo determinante sia il capitale di rischio sia tutti gli strumenti finanziari idonei a veicolare risorse verso le iniziative più dinamiche del territorio.
Unindustria, attraverso la CCIAA di Roma, sta lavorando alla creazione di un fondo per le PMI, per la partecipazione al capitale d PMI con prospettive di crescite. Un altro obiettivo del Comitato Credito è sostenere la liquidità con il supporto della Regione, delle banche e della BEI, prendendo spunto dall’operazione realizzata in Lombardia, volta a favorire il finanziamento del portafoglio ordini senza garanzie e con una riduzione dei tassi d’interesse applicati.
Non va poi trascurata la necessità di sostenere gli investimenti, in particolare in Ricerca e Innovazione e Internazionalizzazione, anche attraverso lo strumento delle reti di impresa. Infine, un’altra forma di supporto che l’Associazione intende offrire alle imprese riguarda la certificazione e la cessione dei crediti vantati nei confronti della PA. A tal fine, una società specializzata provvederà ad assistere le associate sia in termini di informazione che di assistenza, gestendo il processo fino alla fase di monetizzazione.
Tutti gli argomenti che ho sinora trattato richiamano il tema centrale del rapporto banca-impresa.
La ricostruzione di un sano rapporto fiduciario tra i due sistemi, insieme ad una rinnovata attenzione e capacità di lettura del contesto territoriale da parte delle banche sono gli elementi necessari per poter cogliere la ripresa.
È evidente l’esigenza di un criterio selettivo nella concessione del credito, ma per evitare una selezione avversa è necessario distinguere chi è meritevole di essere finanziato, in quanto scommette sulla propria azienda e dispone di un progetto imprenditoriale valido da chi non ha le potenzialità per competere sul mercato.
La corretta attribuzione del merito di credito eviterebbe infatti che imprese solide ma illiquide siano costrette al fallimento, con conseguenze pesantemente negative sul tessuto sociale. Per riuscire in questo intento c’è bisogno di un fitto scambio di informazioni tra sistema produttivo e istituti di credito, di obiettivi comuni da raggiungere in una logica di partnership e non di contrapposizione.
Da un lato, le imprese dovranno impegnarsi a fornire comunicazioni chiare e puntali e a far conoscere la propria realtà agli istituti di credito. A tal proposito, diviene fondamentale la presentazione di un company profile funzionale alla valutazione da parte delle banche di concrete prospettive aziendali. Le imprese dovranno inoltre prestare particolare attenzione all’elaborazione dei bilanci e della relativa nota integrativa, anche avvalendosi di figure professionali competenti.
Dall’altro lato, le banche avranno il compito di lavorare sulla trasparenza del percorso decisionale, di individuare un responsabile del rapporto e di garantire la certezza dei tempi.
Non da ultimo, è essenziale, per le ragioni di cui parlavo poco fa, che gli istituti di credito attribuiscano, nell’ambito della loro discrezionalità, un peso più consistente alla valutazione qualitativa nella determinazione del rating.
In altri termini, è evidente che una maggiore cooperazione banca-impresa sia la leva di crescita reciproca, in quanto un sistema fragile non produce redditività né per l’impresa né per la banca.
Perciò proporremo alle nostre Associate, a Fidimpresa e all’Abi un tavolo per confrontarci e concordare un codice di comportamento sui temi fin qui trattati. Chiederemo inoltre alle banche di superare la logica del “protocollo d’intesa” per lavorare insieme sulla gestione della conflittualità e su nuovi prodotti finanziari.
La redazione (2012-12-04 11:54:43)